Castelfranco Emilia - Comune di Castelfranco Emilia

Arte e Cultura | Itinerari | Castelfranco Emilia - Comune di Castelfranco Emilia

Castelfranco Emilia
 



Fontana del tortellino
Un piccolo quadrato di pasta all'uovo con ripieno di lombo di maiale, prosciutto crudo, mortadella, parmigiano, noce moscata, pepe e sale è da sempre l'emblema della tradizione culinaria castelfranchese.
Eccolo il tortellino ripiegato e attorcigliato con cura su se stesso dalle mani della massaia e mangiato in brodo come vuole la tradizione.
La piccola delizia, ammirata tanto quanto invidiata, ha ispirato e coinvolto non solo attenti degustatori e chef giunti da oltre oceano, ma anche tredici scultori emiliani chiamati a cimentarsi in un monumento dedicato a questa celebre specialità culinaria.
Il 3 settembre 2005, presso la sala del Consiglio Comunale, un'apposita commissione giudicatrice ha votato, con voto segreto e a maggioranza, il monumento al tortellino tradizionale di Castelfranco Emilia.
La commissione, presieduta dal sindaco Sergio Graziosi, dopo aver valutato e apprezzato il buon livello generale dei dodici bozzetti pervenuti e la loro aderenza al bando di concorso, anche in considerazione della difficoltà del tema, ha espresso la propria preferenza per l'opera del pavullese Giovanni Ferrari.
Il monumento, in bronzo patinato, cemento e travertino, è stato finanziato dall'Associazione La San Nicola e dalla Dotta Confraternita del Tortellino di Bologna e collocato, grazie alla collaborazione dell'Amministrazione Comunale, in Piazza Aldo Moro.

 


Monumento ai Caduti della Prima e Seconda guerra mondiale
Il monumento ai Caduti fu inaugurato domenica 8 giugno 1924 in piazza della Vittoria, all'epoca centro dell'area verde adibita a giardino pubblico del Comune.
Poggiava su un alto basamento quadrangolare in pietra o marmo bianco, sopra al quale era poggiato un plinto anch’esso a base quadrata sulla cui sommità troneggiava un soldato con mantello svolazzante, in bronzo, opera dello scultore locale Silverio Montaguti. I nomi dei 335 caduti di Castelfranco erano incisi sui quattro lati del basamento marmoreo. La dedica della vecchia iscrizione recitava: CASTELFRANCO AI PROPRI FIGLI CADUTI PER LA PATRIA. Nel secondo dopoguerra la piazza fu risistemata, furono edificate prima le scuole elementari Marconi e poi il Municipio (1958); nel 1965 la porzione rimanente di piazza Vittoria fu definitivamente adibita a parcheggio e il Monumento spostato ai nuovi Giardini Pubblici e di nuovo inaugurato il 4 novembre 1965. Nell'occasione la statua in bronzo fu posata sul tappeto erboso rialzato, in fondo ai giardini, mentre alle sue spalle correva una lunga lastra di travertino con i nomi dei caduti della Prima guerra mondiale, cui sono stati affiancati i nomi dei caduti delle guerre risorgimentali. In posizione meno imponente, nella sua attuale collocazione la statua del soldato si erge a difesa dei compagni caduti, con uno slittamento semantico più vicino alla nostra sensibilità. Nel 1990-91 i giardini sono stati completamente rinnovati e il monumento restaurato.


Monumento ai Caduti Martiri del Panaro
Monumento istituito per “Ricordare i 12 Martiri del Panaro e il loro sacrificio sarà davvero efficace nel momento in cui sapremo imparare dal passato, sia a non ripetere gli errori (e gli orrori) che sono stati commessi, sia a credere di poter migliorare le cose, con il piccolo contributo di tutti. Renderemo così giusta memoria a queste persone nel momento in cui non solo ricorderemo ciò che hanno patito, ma ascolteremo la loro volontà implicita: rendere migliore questo paese”. In questa sede sono presenti delle formelle e un bassorilievo in terracotta patinata dell'artista castelfranchese Angelo Tavoni.

 


Cippo a Roberto Moscardini nel luogo del martirio
Il cippo è dedicato alla memoria del partigiano Roberto Moscardini, comandante della quarta zona partigiana di Castelfranco Emilia. Il giovane cadde mentre si dirigeva in bicicletta a San Giovanni in Persiceto per un incontro con il commissario politico Mario Zanasi, anch'egli in bicicletta, e dovevano partecipare altri quattro partigiani. Una camionetta della Repubblica Sociale Italiana, aprì il fuoco nel momento in cui il gruppo si riunì: Roberto Moscardini ordinò ai suoi compagni di scappare, vista l'inferiorità di armamento. I fascisti lo accerchiano e "Lupo", ferito al petto, si sparò per non essere catturato e torturato. Il cippo ricorda l'albero al quale lo impiccarono, già morto, lasciandolo esposto per diversi giorni.
Il giorno successivo Gaetano Melotti del CLN chiese di essere ricevuto in Municipio dal commissario prefettizio Massimo Mazzoli, per convincerlo a porre fine alla macabra esibizione.
Dopo l'intervento di una delegazione di donne, che stazionarono davanti al Municipio, il commissario ottenne l'autorizzazione immediata a rimuovere il corpo esanime e a tumularlo nel cimitero di Castelfranco, senza alcuna cerimonia. 

 


Monumento alla Madonna del Voto
Collocata lungo la via Emilia, sul lato destro della Chiesa Santa Maria Assunta, questa statua è una dei simboli di Castelfranco Emilia. Fu eretta poco dopo il 1630, anno in cui in tutta l'Italia del Nord imperversava una grave pestilenza. La cittadinanza, scampata al pericolo, innalzò la statua in segno di ringraziamento alla Vergine alla quale avevano rivolto le proprie preghiere. Ancora oggi, l'8 dicembre, giorno dell'Immacolata Concezione, è usanza fare visita alla Madonna del Voto e portarle un fiore.


Chiesa di San Giacomo
Collocata a sud della Via Emilia, tra le vie Zanasi e Tarozzi, la chiesa di San Giacomo costituiva nell’antichità la seconda parrocchia di Castelfranco. Non è certa la data di costruzione, anche se pare esistente già dalla fondazione del Borgo Franco; certa invece è la dipendenza della Chiesa di San Giacomo dalla Chiesa di Santa Maria Assunta. Già alla fine del ‘200 Castelfranco risultava divisa in due parrocchie (Santa Maria a nord della Via Emilia e San Giacomo a sud), ognuna delle quali con un proprio cimitero. Solo nel 1923 il Cardinale di Bologna decise di riunire Santa Maria Assunta e San Giacomo in una sola parrocchia, quella di Santa Maria Assunta.
La chiesa di San Giacomo è stata ingrandita e restaurata più volte; da ricordare l’importante intervento di restauro della facciata nel 1910 a spese di Monsignor Vincenzo Tarozzi. Nel secondo dopoguerra, poi, a causa di notevoli restauri, la chiesa restò chiusa fino al 1971. In essa è conservato un organo di grande valore (fabbricato nel 1743 da Domenico Traeri e restaurato nel 1987) che rende la chiesa, unitamente alla notevole acustica dei locali, un locale adatto a concerti musicali. Composta da una sola navata, la chiesa accoglie, tra le opere collocate sugli altari laterali, la statua di San Nicola dello scultore Scandellari e il dipinto raffigurante la Beata Vergine della pittrice Elisabetta Sirani. Il campanile di stile romanico, a pianta quadrata, conserva inalterata la struttura originale.


Chiesa di Santa Maria Assunta
La più antica chiesa di Castelfranco è la Chiesa di Santa Maria Assunta: il primo impianto sembra essere stato costruito insieme al Castello, presumibilmente tra il 1226 e il 1232, e probabilmente aveva la stessa collocazione dell’edificio attuale.
Solo nel 1578 la Chiesa fu elevata al grado di arcipretura e di vicariato con giurisdizione su varie parrocchie (San Giacomo di Castelfranco, San Giacomo di Piumazzo, San Bartolomeo di Manzolino, San Prospero di Riolo, San Nicolò di Calcara).
All’inizio del 1600 l’edificio venne ampliato e completato dal campanile e nel 1625 l’arciprete Don Masini commissionò al Guido Reni un dipinto raffigurante l’Assunta, collocato poi nell’abside sopra l’altare maggiore. La chiesa ha subìto nel corso degli anni alcuni grossi interventi di restauro: nel 1704, l’edificio che era strutturato in un’unica navata assunse la struttura a tre navate; alla fine del 1800, nel lato verso la via Emilia, fu sacrificato un portico per consentire un ampliamento; nel 1914 fu eseguito il restauro della facciata, secondo il progetto dell’architetto Collamarini di Bologna; nel 1921, il restauro del Campanile; nel 1924, il rifacimento del pavimento.


Molte sono le opere di pregio che si possono ammirare all’interno della Chiesa, oltre al citato dipinto del Reni: la statua dedicata al protettore della città di Castelfranco E., San Donnino; la piccola statua di Sant’Anna, creata dallo scultore Molli e collocata su una mensola in fondo alla navata sinistra; il dipinto raffigurante Santa Barbara*, donato dai Bombardieri del Forte Urbano nel 1695 e attribuito al Guercino; un’opera del pittore Angelo Gessi, detto il Nobile, della prima metà del 1600, che ritrae un bambino con angelo custode; un quadro di Prospero Fontana del XVI secolo collocato sulla porta di ingresso della sagrestia, raffigurante la Beata Vergine attorniata da Sant’Elena, dall’Imperatore Costantino ancora bambino, da San Pietro, San Francesco e San Donnino.


Già dalla fine del XV secolo l’iconografia dell’Assunta presentava strette analogie con quella dell’Immacolata Concezione, dove però non presentava implicazioni d’ordine teologico (si dibatteva anche sull’età della Vergine e sulla presenza o meno degli Apostoli) si rappresentava la Madonna nel momento in cui ascende al cielo, lasciando vuoto il suo sepolcro. Inoltre, Maria veniva contrapposta alla figura di Eva, macchiata del peccato originale. Reni sceglie di ritrarre la Vergine già in cielo in una dimensione trascendente, attraverso un’immagine che ne comunica l’idea di perfezione spirituale in un abito di perfezione formale.

Ciò che rende sempre diversa la valenza semantica delle figure mistiche del Reni è l’intuito volto alla ricerca di un equilibrio tra ambientazione, gestualità e colore in sottile contrapposizione. In questo caso inserisce in uno spazio trascendente simbolico e allusivo la pienezza fisica della Vergine nella sua ideale bellezza formale. Il fondo illuminato a raggiera ricorda la Donna dell’Apocalisse ma anche lo spazio infinito dei fondi oro in cui s’innesta l’arcaico simbolismo della mandorla di nubi e cherubini, la cui consistenza sfuma dal basso verso l’alto. Questi accorgimenti suggeriscono una visione scorciata della figura accentuandone il senso ascensionale e nel contempo permettono al pittore di raffigurare la piattaforma di Angioletti. Si instaura una serie circolare di rimandi tra la dimensione astratta del fondale e la solida concretezza della Vergine: questa operazione di sintesi non è fine a se stessa ma risponde alle elaborazioni dottrinali della Chiesa impegnata a riaffermare i principi del Concilio ma anche il portato della sua storia. Di conseguenza attraverso la rete di rinvii, tessuta tra presente e passato, tra simbolismo e rappresentazione del naturale, riesce a fondere le due Verità, quella storica e quella dottrinale, in una sola di valenza assoluta, la Verità proposta dalla Chiesa (G. Ghermandi, Guido Reni e l’Assunta di Castelfranco in Castelfranco dell’Emilia Romagna, ne L’Emilia Romagna, paese per paese, Firenze 1987). 

 

Nella Chiesa sono presenti le seguenti opere dell'artista Angelo Tavoni: il bassorilievo in terracotta "Ultima cena", i bassorilievi in terracotta "Battesimo di Cristo" e "Resurrezione di Cristo" sopra la porta d’ingresso, e il bassorilievo in terracotta patinata "Consacrazione della Chiesa di Santa Maria Assunta". Esternamente alla Chiesa si trovano le statue di San Geminiano e di San Petronio.

 

*La pala di Santa Barbara. La pala che ornò dal 1633 al 1841 la Cappella che la Confraternita dei Bombardieri della Fortezza Urbana possedeva in Santa Maria fu ed è pacificamente riconosciuta dagli storici dipinta dal pittore bolognese Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino. Questa paternità, però, è contestata dai critici d’arte, che, sulla base di raffronti stilistici con opere di altri pittori, propongono altre attribuzioni, come ad esempio quella a Francesco Monti. Comprensibile la prima attribuzione dei critici al Guercino per i valori del chiaroscuro, per le linee e per le figure scorciate della grande "invenzione" barocca. L’impianto della composizione è grandioso e solenne, tutto articolato in ritmi ascendenti. La stessa colorazione calda e pacata dei primi piani, si stempera verso l’alto dove le nubi trascolorano e l’angioletto, con la palma del martirio, scende illuminato da una luce sbiancata, lunare.

 

 

Oratorio di Santa Croce

L’oratorio di Santa Croce, soggetto alla Pieve di San Giovanni in Persiceto, trovava la sua collocazione all’interno di un ospizio per i viandanti poveri di passaggio per Castelfranco. L’ospizio con annesso l’oratorio era situato nell’angolo tra la via Emilia e l’attuale via Fasani, quest’ultima chiamata fino al 1898 via dell’Ospedale di Santa Croce. Le prime notizie certe dell’oratorio risalgono al 1259, altre fonti invece, affermano che esse hanno una diffusione certa solo a partire dal 1366. La denominazione “Ospizio e Chiesa di S. Croce” compare nei documenti dalla prima metà del 1500 in poi, prima infatti la sua denominazione in latino recitava “Hospitale S. Maria de Castro Francho”, ed effettivamente il complesso di S. Croce era all’interno del castrum medioevale - Borgo Franco, fondato nel 1227.

La chiesa è stata soggetta a vari ampliamenti (cappelle, portico, sagrestia e canonica), e aveva all’interno tre altari di cui uno dedicato alla Santa Croce, uno alla Madonna e il terzo a San Nicola di Bari. Possedeva inoltre varie opere d’arte, la cantoria e un organo. Nel periodo tra il 1796 e il 1798, con l’arrivo dell’esercito francese, l’oratorio venne sconsacrato e destinato a caserma e stalla. Dal 1823 al 1825 la chiesa fu restaurata e in occasione del Giubileo del 1826 venne ribenedetta e rimase aperta al culto fino al 1908. Dopo nuove ridestinazioni della tipologia originaria dell’oratorio non resta più nulla. Della presenza dell’ospizio di Santa Croce invece rimane una piccola lapide ovale murata nell’attuale edificio in via Fasani; essa ricorda un restauro del 1601 ad opera di Pietro de’ Flora: HOSPITALE HOC A MAJORIBUS EREC VETUSTATE COLLABENS A EUDAMET FERE AEDIFICATUM FVIT ... (PRIO ERE) ANNO DOMINI MDCI PROCURANTE RD PETRO DE FLORE MASSARI

Riferimenti bibliografici : G.M Sperandini, Maestà e oratori nel territorio Comunale di Castelfranco Emilia, Nonantola 1996; AA VV, La storia di Castelfranco attraverso le sue vie e i suoi monumenti, Bologna 1999


Complesso ex-fornace Cuccoli
Tra Corso Martiri e le vie Zanolini, Ripa Superiore e Francesco Bertelli si trova il complesso dell’ex-fornace Cuccoli.
All’interno dell’isolato si annovera un fabbricato caratterizzato da un’imponente colonna in legno con zoccolo di mattoni a basamento in pietra selenite, la cui tipologia riflette la casa-corte duecentesca delle costruzioni bolognesi, unico con queste caratteristiche tipologiche in tutta la provincia di Modena.
Altri edifici appartengono invece al XVI secolo, come la casa padronale, ristrutturata nel 1849 e abbellita con l’aggiunta di decorazioni ai soffitti, lasciate  progressivamente deteriorarsi; infatti prima dei lavori di ripristino del comparto, ormai conclusi, erano in pessimo stato di conservazione o addirittura scomparse in seguito al crollo delle volte.
A questo periodo si possono datare anche i locali di servizio e le stalle per cavalli. Sul finire del Settecento/inizi dell’Ottocento, qui fu impiantata una fornace di proprietà della famiglia Cuccoli, in cui si producevano coppi, tubi per condutture, terrine, piatti, pignatte e maioliche decorate. La struttura rimase attiva fino al 1930. Dopo molti anni di abbandono, che hanno ridotto il complesso edilizio più significativo del paese a un ammasso di macerie, l'isolato intero è stato oggetto di un'energica, quanto valente, opera di recupero che ha ripristinato spazi abitativi decorosi nel rispetto della tipologia del passato e ha conservato la memoria storica di questo angolo così caratteristico del centro storico.
(Casa privata)


Forte Urbano
Il Forte Urbano venne eretto nel 1628 nell’attuale territorio di Castelfranco, sulla Via Emilia, poco fuori dalla cinta muraria verso Modena, per volere di Papa Urbano VIII della famiglia romana Barberini. Poco prima era giunto a Castelfranco Giulio Buratti, che aveva redatto il progetto, insieme ai colleghi Mola e Costa.
La grande fortezza venne terminata nel 1634, come attesta un documento ufficiale redatto dallo stesso Buratti, ma la tradizione invalsa finora vuole che siano trascorsi più di venticinque anni per la conclusione dei lavori. In effetti, dalle ricerche condotte si evince che sono numerosi i documenti che riguardano gli appalti e i contratti stipulati fra i soprintendenti e i costruttori appaltatori, segno delle difficoltà sia di reclutamento degli uomini, sia di reperimento dei mezzi di trasporto e degli strumenti necessari al lavoro.
Per quanto attiene alla descrizione del Forte Urbano siamo facilitati nella lettura monumentale da alcune piante e dalla cartografia antica della fine del ’700. Il corpo centrale è costituito da un recinto quadrato con quattro baluardi dedicati a San Paolo, San Pietro, Santa Maria e San Petronio.
Sui quattro baluardi vi erano torri e costruzioni in cui risiedevano gli alloggi dei militari, all’interno dei quali si trovavano anche cucine, cantine e spazi di servizio.
All’esterno di questo corpo quadrato era presente una cintura a forma di stella in cui erano ricavati fossati, terrapieni e contrade. Nella fortezza si trovavano granai, forni, macellerie, un ospedale, una chiesetta e un cimitero, oltrechè un’armeria.
A partire dalla seconda metà del Settecento iniziò rapidamente il declino del Forte Urbano fra calamità naturali, cattiva organizzazione interna, nonché eventi bellici: la fortezza fu più volte demolita e depauperata anche nel suo aspetto architettonico fino a quando, nel 1944 venne bombardata. Ripristinato in età moderna, il Forte è ora adibito a casa di lavoro.


Mulino Forlani
Secondo la tradizione, il mulino è stato costruito nel 1234, otto anni dopo la fondazione di Castelfranco. Mancando ai cittadini di Castelfranco l’acqua per provvedere alla macina del grano, nello stesso anno per volere del Senato di Bologna fu ordinata l’escavazione di un canale che conducesse l’acqua necessaria a far funzionare il mulino (da Prato dei Monti a Castelfranco): esso fu chiamato il Canale del mulino. Del mulino, con la precisa localizzazione attuale, vi sono varie testimonianze in molte mappe e disegni dell’Archivio di Stato di Modena e Bologna. Nei catasti del Settecento e Ottocento il mulino presenta la configurazione attuale con l’eccezione del lato ovest dove si trovava un portico attualmente chiuso. Nel 1500 il mulino risultava di proprietà Pinj, nelle carte del '600 si trova spesso citato come “Molino Mafari” e nel 1749 risulta, da un documento di archivio, di proprietà della Contessa Moreni. Passa poi alla famiglia Pallotti, alla famiglia Gaiani e nel 1919, fino alla fine dell’attività, il mulino appartiene ad Aldo Forlani. L’interno del mulino risulta essere ancora ben conservato: intatte sono le macine in pietra, le strutture in legno, gli utensili e gli strumenti da lavoro. Caratteristica importante dell’edificio, per il valore storico e artistico rappresentato, è la presenza, nelle stanze superiori, di affreschi alle pareti e ai soffitti del decoratore e scultore liberty Silverio Montaguti.


Mura tardo medievali
Nel vasto complesso edilizio dell'ex distilleria Bini, nel 1993, durante lavori edili, sono stati riportati in luce alcuni tratti delle fondazioni murarie della cinta difensiva di epoca basso medievale.
Poiché si manifestò all'istante l'importanza dei reperti, vennero condotti scavi archeologici che consentirono di evidenziare il tratto di mura attribuibile al castrum medioevale di Borgo Franco. In particolare le mura emerse dalla zona ex Bini sono riferite al tratto della cinta difensiva nei pressi di Porta Bologna, infatti Castelfranco Emilia fu fondata nel 1226/27 ad opera di Bologna e fortificata prevedendo la costruzione di due porte, una rivolta verso Bologna (Porta Bologna), l'altra verso Modena (Porta Modena).
Il muro emerso nel comparto Bini appartiene alla cinta difensiva che volge a Bologna e per un breve tratto alla Rocca Magna, e risale probabilmente alla fine del XIV secolo. È costituito di mattoni di varie dimensioni, in parte irregolarmente disposti, legati con malta di calce idraulica con elementi di cocciopesto. Nella zona più interna alla Rocca Magna furono scoperte tracce delle abitazioni trecentesche, i cui resti materiali sono conservati nel Museo Civico Archeologico.

 


Palazzo Cappi
Si tratta di uno dei palazzi più antichi e celebri del Comune.
Il palazzo fu costruito nella seconda metà del Settecento dalla famiglia Cappi. Esso occupa un intero isolato avente il fronte principale sulla via Emilia con un portico coperto da volte a vela.
Il linguaggio artistico del portico è tardo barocco, composto da undici campate ad arco ribassato su pilastri dorici; nella parte superiore corre un ordine di finestre rettangolari con cornice alternate a porte finestre. Il cornicione del palazzo è “a sguscio” di tradizione bolognese, con oculi esagonali aperti nel sottotetto.
In origine Palazzo Cappi possedeva due ingressi simmetrici sulla Via Emilia ove erano presenti delle scale che portavano al piano nobile e all’attico; lo scalone di rappresentanza era ornato da statue allegoriche.
Molti ambienti del piano nobile conservano pavimenti in battuto alla veneziana mentre quelli della parte retrostante sono in cotto. Si nota ancora come la struttura settecentesca abbia inglobato le preesistenze medievali sia nella planimetria sia nell’alzato (il fronte conserva parte delle murature in ciottoli fluviali ed è considerato frutto di un riallineamento di preesistenze).
Si segnala anche la presenza di una cappella di famiglia all’interno dell’isolato, con stucchi a rilievo di gusto tardo barocco; la sua copertura piana è stata fortemente rimaneggiata. Ora il palazzo è in corso di restauro ad uso abitativo.
(Palazzo privato)

 


Palazzo Piella
Antica casa sulla Via Emilia, posta accanto alla chiesa di Santa Maria Assunta, ove come narra la tradizione soggiornò Carlo V nel 1529 e 1530, anni in cui intraprese il viaggio che lo portò a Bologna, sede della cerimonia che l’avrebbe visto incoronato Re d’Italia e del Sacro Romano Impero.
Fin dal XVI secolo il Palazzo è stato di proprietà della famiglia bolognese Piella.
Secondo Andrea Capelli, l’edificio, che aveva presumibilmente forma diversa (a corte) e che mancava dell’attuale portico, venne rifatto nel 1600: furono dunque i Piella i fautori dell’ampliamento e della ristrutturazione dell’edificio originario portando il Palazzo alla consistenza che conserva attualmente.
L’edificio fu messo in vendita nel 1806, anno in cui fu acquistato da Monsignor Sammarchi e da questi lasciato in eredità ai parroci succedutigli.
Data la posizione centrale sulla Via Emilia, e per la tipologia delle case confinanti, si può supporre che l’edificio abbia avuto nobili antecedenti nell’edilizia popolare del Borgo Franco ascrivibile all’impianto medievale. La facciata verso la Via Emilia presenta archi a sesto ribassato realizzati in mattoni. Sul retro si può notare la planimetria dell’edificio a forma di V, con due corpi laterali avanzati. Sempre sul retro, esisteva un giardino all’italiana, del quale è testimonianza una riproduzione in una mappa catastale dell’Ottocento. Di tale giardino resta solo l’arco di ingresso al muro di cinta verso nord. Attualmente l’edificio è sede del Museo Civico Archeologico.


ll Museo Civico Archeologico “A.C. Simonini” è sorto nel 1999 in seguito all’individuazione nell’ambito di una collezione preesistente (la Raccolta Civica) di materiale di rilevante interesse archeologico e al rinvenimento, avvenuto in tempi successivi sul territorio, di reperti significativi. Dagli anni ‘90, infatti, grazie alle cospicue scoperte avvenute in seguito alla conduzione di scavi archeologici in area urbana e non (Forte Urbano, Via Peschiera, Via Canale, Piazza Moro), sono stati predisposti nuovi spazi da adibire a Museo e a deposito temporaneo per la conservazione dei reperti archeologici. È stata quindi condotta dalla Amministrazione Comunale e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna un’operazione congiunta di riorganizzazione delle sedi, di catalogazione dei reperti e di selezione di quelli più significativi, idonei a rappresentare il patrimonio locale.


 

Villa Solimei
Questo elegante edificio si trova esattamente sul confine che divide il territorio comunale castelfranchese da quello di San Cesario sul Panaro; è lo stesso che in passato separava la Legazione di Bologna, ossia lo Stato Pontificio, dal Ducato Estense; a sottolineare l'appartenenza ai due stati, sulla parete settentrionale interna era dipinto lo stemma papale, mentre a meridione era collocato quello ducale.
L'impianto originale del palazzo risale alla fine del XVI secolo/ inizi del XVII, e lo si deve alla famiglia bolognese Solimei che volle farne il centro di controllo e amministrativo della vasta tenuta agricola impiantata in zona fin dalla seconda metà del '500. Non sono molte le notizie relative alla storia della villa di fronte alla quale, proprio in mezzo al parco con laghetto che occupava la parte meridionale del complesso, negli anni 1717-18 fu eretto dal conte Flaminio Solimei un piccolo oratorio dedicato a San Geminiano.
Nel 1763 l'edificio era già in condizioni precarie, tanto che Giuseppe Solimei impegnò cospicui fondi per un rapido restauro che restituisse la cappella, nel frattempo ampliata e arricchita di decorazioni, alla sua primitiva funzione.
Tra la fine del secolo scorso e l'inizio del presente, l'azienda agricola andò progressivamente smembrandosi; nel 1924 la villa e parte dei terreni passarono ai bolognesi Falavigna, dai quali furono venduti a partire dagli anni '60. Attualmente questo elegante quanto consistente edificio, nonostante le discrete condizioni, avrebbe bisogno di un energico intervento di restauro conservativo onde riportare al primitivo splendore sia le numerose sale sia i prospetti, in particolare quello settentrionale, all'ingresso della villa: su questo lato è ancora in ottimo stato lo scalone esterno che porta al piano nobile. Questa facciata, su cui erano dipinti elementi architettonici come lesene, capitelli e cornici intorno alle finestre, ormai quasi invisibili, culmina con un frontone triangolare nel quale si apre un ampio ovale. Del vasto parco-giardino che illeggiadriva il complesso nei secoli scorsi è rimasto il grazioso laghetto intorno al quale si stagliano piante autoctone dall'età secolare.
(Villa privata)


 

Villa Torretta de' Capi
La Villa, anche nota col nome di Torretta dei Capi, venne costruita dai fratelli Cappi nella seconda metà del ‘700. Dopo la morte di Nicola, nel 1839, attraverso passaggi ereditari e alienazioni, la Villa divenne di proprietà di Delia Repetto. Ella donò la Villa nel 1946 a Monsignor Luigi Roncagli perché potesse dare nuova sede all’orfanotrofio, che aveva fondato presso le Suore Minime dell’Addolorata.
La Villa associa allo stile architettonico del suo secolo una serie di decorazioni incassate nei muri esterni a mo’ di decorazione, probabilmente più antiche.
(Villa privata)

 


 

I portici
Ecco l'emblema urbano del paese. Un chilometro di portici continui e compatti dal grande respiro architettonico vivono in perfetta simbiosi con la Via Emilia, lungo il rettifilo che caratterizza l'immagine urbana del paese.
Come "un ritmico filare di alberi" i portici sono la perfetta trasposizione della natura in architettura, nei quali forte è il valore sociale e comunitario. Caratteristici anche di altre città emiliane quali Bologna, Reggio Emilia e Forlì, nascono sia per proteggersi dalle condizioni climatiche, sia per consuetudini sociali, ma principalmente da un'origine costruttiva assai remota.
"La tradizione del portico - come ci insegna Andrea Capelli - si origina dalla radice prima della tipologia architettonica edilizia e urbana del portico stradale che sta proprio nella civiltà e cultura primariamente presente in sito e che ha influenzato proprio nell’ambito della diffusione della domus romana quel particolare rapporto tra costruito e non costruito, cioè tra area privata e pubblica".
Da sempre fortemente condizionato dalla struttura urbana del nucleo abitato, il portico fu costruito prima in legno poi in mattoni. Simbolo della città, il portico è capace di sedurre e affascinare non solo chi lo vive quotidianamente ma soprattutto il viaggiatore, per l'apparente omogeneità e la composita uniformità architettonica.

 


Piazza Garibaldi
Già dalla sua fondazione, Castelfranco Emilia, caratterizzata da un tessuto urbano composto da isolati tutti uguali, era priva di una vera e propria piazza.
Per molti secoli fu la Via Emilia a svolgere funzioni di spazio aperto, delimitato com'era da edifici lungo i suoi lati. È solo attorno al 1780 che comparve uno spazio definito come "piazzale scoperto", che occupava metà dell'attuale Piazza Garibaldi. L'altra metà era occupata dall'Oratorio di San Giuseppe e dal cimitero annesso.
Alla fine dell'Ottocento l'abbattimento dell'Oratorio e la scomparsa del cimitero portò al raddoppiamento della piazza in lunghezza ( circa venti metri per ottanta).
La così denominata "Piazza Garibaldi" nel 1886 si arricchì di una fontana pubblica detta "Fonte Garibaldi", progettata dall'ingegnere Modoni. Fu quindi solo sul finire dell'Ottocento che si configurò come vuoto urbano dalle dimensioni e caratteristiche attuali. Nel corso degli anni continue furono le modifiche a cui sono stati sottoposti gli edifici adiacenti alla piazza.


Parco Ca' Ranuzza
Ca' Ranuzza è un complesso colonico aziendale a conduzione mezzadrile risalente alla metà dell'800.
Il complesso architettonico, caratterizzato in passato da una stalla, un fienile, una porcilaia, un pollaio e un pozzo, rispecchiava le esigenze di una cultura patriarcale e di una azienda che da sempre è stata autosufficiente nella coltivazione dei campi, nell'allevamento degli animali e nella lavorazione della canapa.

 


Parco Botanico "Chico Mendez"
Nel 1980, grazie a un'iniziativa dell'"Associazione Naturalisti Ecologi Castelfranco" nacque il Parco Botanico "Chico Mendez" (sindacalista brasiliano impegnato nella difesa della foresta amazzonica e dei suoi abitanti).
Con l'obiettivo di offrire uno spazio verde alle scuole, ai cittadini e alle istituzioni pubbliche e private, sono stati arricchiti diecimila metri quadrati di terreno fertile con più di 250 essenze arboree e arbustive; il Maggiociondolo, la Bignonia, il Fiore dell'Angelo, l'Acero Giapponese, la Palla di Neve sono solo alcuni degli splendidi esemplari che si possono incontrare nel Parco Botanico (caratterizzato anche da uno stagno con flora acquatica spontanea).
Questo ambizioso progetto, che è stato realizzato grazie alla concessione gratuita da parte del Comune e alla collaborazione di vari enti (Movimento Cooperativo Locale, banche, imprese private, Istituto Agrario, donazioni e lavoro volontario dei cittadini), ha come obiettivo la difesa dell'Universo vegetale e dell'ambiente naturale.

 

 

Pubblicato il 
Aggiornato il